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venerdì 5 febbraio 2010

Non so che viso avesse. La storia della mia vita

Da Francesco Guccini, in fondo, c’era da aspettarselo. La sua mitologia «fra la via Emilia e il West». Le sue origini appenniniche, a metà strada fra la Toscana e l’Emilia (persino la sua Bologna è «già un poco Romagna e in odor di Toscana»). Le sue canzoni fra impegno e sarcasmo, fra intimismo e attivismo. E così anche «Non so che viso avesse. La storia della mia vita», l’autobiografia uscita in questi giorni per Mondadori, si pone sullo stesso solco, in un territorio di confine, nel fertile fra della mitopoiesi e dell’opera gucciniana. 
 
«Non so che viso avesse. La storia della mia vita» è infatti un libro che si pone fra racconto autobiografico e commento filologico. Nel bel mezzo della lettura, si trova l’avvertenza: «Questo libro è un’autobiografia scritta a quattro mani. Francesco Guccini, per pudore e inusitata ritrosia, non ama parlare del proprio lavoro e soprattutto delle proprie canzoni, perciò dà la parola all’italianista, e amico, Alberto Bertoni». 

Ad una scrittura a più mani Francesco Guccini ci aveva abituato, basti pensare al sodalizio con Loriano Macchiavelli; ma un’autobiografia a quattro mani, bisogna ammetterlo, rappresenta un unicum. Le due parti che compongono il volume sono differenti e complementari, e il loro insieme contribuisce a restituire nella sua integrità quell’universo poetico e esistenziale caro al cantautore modenese.

Il racconto di Guccini parte con Il Mulino di Pàvana e termina, ovviamente, con La locomotiva. Allo storico dei primi capitoli, che ricompone con perizia quasi medievale usi e costumi della propria stirpe (si scopre, tra l’altro, un’antica faida con gli avi di Enzo Biagi), si sostituisce man mano l’uomo d’oggi, al quale, sulla soglia dei settant’anni, si chiede di scrivere l’ennesimo pezzo sulla Locomotiva. 
 
Fra questi due momenti, Guccini racconta la storia della sua vita. Una storia per argumenta, fatta di luoghi (e non luoghi), di oggetti e di persone. Luoghi che sono Balere e Osterie (quella dei Poeti e quella delle Dame); che sono città e strade, come Modena, Bologna e la via Emilia. Oggetti che sono le Chitarre, i libri (A s’va a letto per dormir, mia per légg’re). Persone che sono Radici e amici (come Bonvi, al quale Guccini dedica una lettera sincera). 
 
E poi i concerti («(…) nel dicembre del ’78 sono diventato padre. “Be’” mi dissi “ora hai una figlia da mantenere. Non è il caso di diventare un po’ più professionale?”»), la passione per cinema («Ma il cinema è il cinema»), l’amore per le rime e per la canzone popolare, per il folk, per i cantastorie.

I testi delle canzoni la fanno da padrone nella seconda parte del libro, dove Alberto Bertoni narra Vita e opere di Francesco Guccini attraverso il suo canzoniere, svelando particolari e mostrando influenze del mondo letterario e cantautorale. Da Auschiwtz a Cyrano, da Dio è morto a Quattro stracci, passando per Eskimo, Quello che non, Piazza Alimonda. Ogni canzone una tappa, da leggere e riascoltare.

F. Guccini, Non so che viso avesse. La storia della mia vita, Ingrandimenti, Mondadori, 2010, 225 pagine, 18 euro

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