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venerdì 18 marzo 2011

In bici sulle tracce di Marco Polo


 ZOCCA. Polvere da macinare e vette da scalare. In condizioni off-limits: soltanto una mountain bike come compagna. La doppia vita di Roberto Cataldo ha un minimo comune denominatore: l’amore per l’avventura. Smessi i panni dell’imprenditore e indossati quelli dell’avventuriero Robby Wood, Roberto Cataldo parte zaino in spalla per spedizioni estreme in solitaria. Nel cassetto, la sfida targata 2011: la grande Cina, tra un mese circa, attraversata in solitaria da nord a sud, tra Vietnam e Cambogia sulle orme del grande Tiziano Terzani.
 Cataldo, quando ha iniziato le sue spedizioni?
 
«Non avevo ancora compiuto 20 anni. Prendo il primo aereo per un servizio fotografico degli angoli nascosti dell’isola caraibica per eccellenza: attraverso in lungo e in largo Cuba. Poi ancora Sudamerica: Guatemala, Chapas, Belize. Ventenne, parto durante il periodo d’assedio dei narcotrafficanti nel nord del Messico, vivendo nascosto fra le foreste e pedalando per oltre 2.000 km. Due anni dopo, nel 2002, preparo un’altra spedizione: atterro a La Paz, monto sulla bike e parto verso sud, scalando le vette dell’Illimani e del Licancabur, a oltre 6 mila metri. La spedizione termina con la prima attraversata invernale del Salar Uyuni, in Bolivia, la più grande distesa salata del mondo: un deserto bianco, con temperature notturne sotto i 20 gradi».
 E dopo il Sudamerica?
 
«Nel 2004, Canada. Direzione Alaska. Ho attraversato le montagne Rocciose per raggiungere Fairbanks, nel giorno delle celebrazioni per la fondazione della città, la seconda dell’Alaska, da parte del fananese Felice Pedroni. Ho pedalato per 4.000 km. Ad attendermi c’erano 5 mila persone in festa. In quella circostanza, ho scalato il McKinley, una delle montagne più ardue, tra raffiche di venti polari».
 Viaggio più importante?
 
«Forse il prossimo, tra un mese in Cina. Ancora Asia, come l’ultima spedizione, quando per il progetto “Orientato” sulla salvaguardia delle foreste laotiane, ho attraversato per 5000 km l’Himalaya orientale. Lì ho scalato il Jhomolari Mountain, ad oltre 7 mila metri. Nel frattempo, avevo realizzato il parco Esploraria, recuperando una vecchia casa rurale».
 Perchè Robby Wood?
 
«Quando ho scalato l’Illimani, un quotidiano boliviano mi ha chiamato l’escalador loco. Da qui è nato Robby il matto. Dopo l’apertura di Esploraria, mi hanno ribattezzato Robby Wood, perchè nel parco ho ideato la pratica dell’albering».
 Quando si fermerà?
 
«Mi resta ancora tutta l’Europa. Ma per me non esiste la voglia di fare un record o di sfidare l’impossibile. C’è il desiderio di mettersi in gioco. In fondo sono prima di tutto uno scalatore che va alla ricerca di vette da scalare».
- Evaristo Sparvieri

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